La vastedda della Valle del Belìce è un formaggio fresco a pasta filata prodotto dal latte ovino intero ad acidità naturale di fermentazione. E’ facilmente riconoscibile grazie alla forma piccola di circa500 grammi, simile ad una focaccina, dal colore avorio e al sapore delicato leggermente acidulo. Il suo nome evoca il pane per i siciliani. Questo pregiatissimo formaggio si ottiene dal latte della pecora Valle del Belìce; una razza ovina che conta circa 60 mila capi, ottenuta da una selezione nel corso dei secoli, ed allevata nell’omonima valle.
La storia
L’origine di questo formaggio, che senza dubbio è quello più tipico della zona, è legata ad un antico racconto che narra di un pastore che dopo aver munto il latte, lo caseificio a pecorino; ma a causa di un forte vento caldo, la temperatura si mantenne alta e la pasta messa nei canestri, prima della salatura, divenne acida. Il casaro tagliò a fette il formaggio inacidito e lo mise nel “piddiaturi” con acqua calda; rimestandolo con la “viria” ottenne un pastone che cominciò a filare. Il casaro, tolta la pasta dalla parte liquida, la pose in piatti da cucina.
Da qui nacque la vastedda. La pastorizia, così anche la viticoltura, ebbero un notevole sviluppo in questo comprensorio con l’avvento degli Aragonesi (che regnarono in Sicilia tra 1282 fino al XVIII secolo) ed in particolare con il Re Federico II, il Vecchio. Rispetto al governo di Carlo D’Angiò, gli Aragonesi si dimostrarono benevoli verso i contadini ed i pastori favorendo così lo sviluppo di queste attività. Il documento più antico, ritrovato, che attiene alla vendita di formaggio prodotto nella Valle del Belìce, risale alla metà del XV secolo. Una seconda vendita di formaggio, testimoniata in un successivo documento, riguarda 200 quintali di “caci intriczari odoriferi” al prezzo di 10 tari al quintale.
Nel 1497 nella Valle del Belìce fu prodotta una “grandissima quantità di formaggi e cacicavalli”, al punto che lo stesso viceré ordinò la vendita del formaggio a minuto” .. .per il bene della povera gente”, come risulta dai documenti di archivio ritrovati che citano il pecorino fresco e stagionato, la ricotta, il caciocavallo e la vastedda.
La preparazione
II latte si coagula in 20 minuti con caglio di agnello, alla temperatura di 35° C. circa. La cagliata viene rotta in grumi e si lascia rassodare. La fuma, dopo circa 24 ore di sosta, raggiunge l’ottimale acidificazione, viene tagliata manualmente a listarelle e trattata con la scotta salata rimanente dalla produzione della Ricotta o con acqua calda a 90° C. La pasta, già filata nel “piddiaturi”, viene travasata sul “tavuleri” per la fase di lavorazione manuale fuori dell’acqua. Ultimata la lavorazione, le porzioni di pasta, modellate pazientemente a mano, vengono poste nei piatti e rivoltate una o due volte, assumono la forma di una focaccina. La Vastedda della Valle del Belìce, al pari di altri prodotti caseari freschi, è un eccellente fonte di principi nutritivi, soprattutto di proteine, vitamine liposolubili ed anche sali minerali, nonostante sia un formaggio a pasta filata. Il suo contenuto proteico è importante ed in particolare il rapporto tra grasso e proteine è inferiore a 1, differentemente da quanto avviene nel latte: la particolare tecnica di lavorazione causa infatti un parziale allontanamento del grasso nella scotta o nell’acqua di filatura proprio durante il processo di filatura.